LA PRIMA ENOGASTRONOMIA DEI MONTI LATTARI
Al centro del Mediterraneo, lungo il litorale campano, la dorsale rocciosa dei monti Lattari crea un selvaggio promontorio montuoso che si tuffa nel Tirreno e divide due tra le più belle coste di tutto il “Mare Nostrum”, con straordinari paesaggi verticali caratterizzati da una natura forse unica al mondo.
A parte l’ampia e fortunatissima parentesi del granducato medioevale e della famosa Repubblica Marinara con l’istituzione dell’Ordine degli Ospedalieri a Gerusalemme (divenuto, più tardi, Ordine dei Cavalieri di Malta) e il codice di commercio e di navigazione formulato dalle Tabulæ Amalfitanæ, la costa e il suo entroterra vissero per lunghi secoli nell’isolamento più assoluto, tagliati fuori da ogni collegamento sia per mare che per terra. Solo agli albori dell’epoca dei lumi (tra XVII e XVIII secolo) questi luoghi aspri e misteriosi, lontani e difficilmente accessibili, cominciarono a destare l’interesse dei più arditi viaggiatori del tempo (artisti, poeti, narratori, geografi, musicisti) i quali, alla scoperta della solitudine a tutti i costi e all’incontro con se stessi, viste le straordinarie meraviglie che potevano toccare con mano, cominciarono a privilegiare i paesaggi aspri e inviolati della costa d’Amalfi.
Gli abitanti di queste terre, molto prima dell’avvento del turismo, si sono adattati a saper fare tutto; un po’ per necessità, molto per abilità. Il mare davanti, con le sue ricchezza ma anche con le sue insidie; una montagna, selvaggia e scoscesa, apparentemente inavvicinabile, alle spalle.
Questo connubio di anima marinara e contadina ha contribuito a formare uomini caparbi, che hanno saputo colonizzare gli orizzonti infiniti del Mediterraneo ma anche le rocce verticali del Monti Lattari, oggi mirabilmente “lavorati” da un sistema di terrazzamenti che danno uno dei limoni più pregiati del pianeta, e poi uva, olivi, ortaggi.
E subito sopra, nei magri altipiani racchiusi tra le creste rocciose, hanno sviluppato una zootecnia capace di dare anche pregiati formaggi; da qui il nome “Mons Lactarius” dei Romani. Valli isolate ricche d’acqua, cascate e torrenti, con rocce a strapiombo e profondi baratri, non hanno scoraggiato gli abitanti della penisola, che nel corso dei secoli hanno sviluppato un’agricoltura intensiva e specializzata, ricavata dai tipici terrazzamenti, dove domina la coltivazione degli agrumi, alternati alla macchia e al bosco, alle vigne aggrappate alle rocce, agli olivi e ai fichi d’India in tutti i punti dove l’aspra roccia lo ha reso possibile.
Interessante la pratica del “vigneto con frutti”, tramandato da epoche antichissime, realizzato con tralci inizialmente appoggiati a sostegni “vivi”, naturali, quali mandorli e noci, poi affidati a lunghe pertiche (dall’ XI secolo in poi) e, successivamente, fatto crescere in altezza per mezzo di pergolati costruiti con pali in castagno (“puntilli” i verticali, “travierzi” e “curreturi” quelli incrociati orizzontalmente).
Tali sistemi evitano la monocoltura e consentono la coltivazione degli ortaggi nel terreno sottostante, che così assicura la copertura del fabbisogno alimentare alle famiglie contadine.
da: www.trekking.it